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La storia del cibo in Basilicata

La storia del cibo in Basilicata  è la storia di un popolo schivo  e semplice, un popolo dalle millenarie radici contadine, che sin dall’ antichità ha saputo far tesoro dei prodotti della sua terra; infatti, sin dai tempi remoti, nella  storia della gente lucana l’alimentazione ha rivestito un ruolo importante, il pasto era un rito, era convivialita’, un desiderio di unione, di rafforzamento dei legami familiari. I pasti principali erano costituiti da colazione e cena, perché il lavoro nei campi spesso non permetteva di tornare  a casa per il pranzo. La colazione veniva preparata in casa ed era a base di pane con poco companatico (alternando uova sode, formaggio, peperoni, cipolla cruda, cicoria). Molto utilizzati i frutti delle leguminose, come fave, piselli, lenticchie, fagioli e dai grani  quali il farro, avena, segale, orzo; i contadini, tornando a casa, raccoglievano nei campi erbe e verdure selvatiche  che condivano con aglio, pomodoro e olio di oliva.
Il pane costituiva comunque l’alimento principale, e mentre  i ricchi lo mangiavano bianco fatto con farina intera e cruschello, i meno abbienti lo facevano con  un miscuglio di farine diverse ( granoturco, orzo, miglio, legumi e castagne );la regola era di fare il pane in casa che, quando diventava duro, si “spunzava”, cioè si ammorbidiva con acqua, olio e pitrisino(prezzemolo), aglio e “cirasedd “ (peperoncino piccante). Quest’ultimo  accompagnava  le pietanze di tutti, senza distinzione di classe.  Nei giorni di festa si mangiavano fusilli e strascinati e in quell’ occasione compariva sua maestà la carne. Perlopiù si consumavano polli e conigli,  animali che venivano allevati in famiglia; quasi sempre sconosciuta la carne di vitello. Per mangiare una pecora si aspettava che morisse di vecchiaia o di malattia ( da qui l’origine del “cutturiedd”, il tradizionale stufato di pecora in uso sopratutto nelle zone di media e alta montagna). La carne di maiale era considerata preziosa, e di questa non si buttava  davvero nulla; veniva essiccata, affumicata, insaccata, conservata sott’aceto e nello strutto, e costituiva la provvista per tutto l’anno e per
l’ospite di riguardo. Solo il bambini e gli ammalati potevano bere il latte, alimento prezioso. L’alimentazione dei nostri nonni insomma  era  frugale, forse anche povera ma sana , ed oggigiorno
è molto rivalutata  per i suoi sapori più autentici, un vero e proprio patrimonio enogastronomico che ha trasformato i semplici ingredienti di un mondo rurale in veri e propri “gioielli” per il palato.
FOTO Michele Degrazia
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