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Lo scrittore belga e sociologo Leo Moulin, profondo conoscitore della cucina europea, diceva che “ non mangiamo con i denti e non digeriamo con lo stomaco, mangiamo con la mente e assaporiamo i cibi secondo norme culturali legate al sistema di scambi reciproci alla base della vita sociale“.
E noi condividiamo in pieno il suo pensiero; cultura non è solo arte, monumenti o libri, la cultura è fatta anche di tradizioni popolari, molte delle quali si esprimono soprattutto attraverso l’enogastronomia.
Sì, perché ogni cibo reca in sé una storia ed esprime valori di identità sociale e religiosa; qualsiasi visitatore girando per luoghi vecchi e nuovi, trasformerà il suo viaggio in una occasione per “assaggiare” storia, immagini, prodotti tipici di quella terra, prodotti le cui radici si perdono nella notte dei tempi, diventando prodotto di cultura locale.
Dietro al cibo spesso si nascondono significati socio /economici , nel tempo interiorizzati dal gruppo di appartenenza, e così il cibo ed il modo di consumarlo riflette la diversità tra culture.
Non solo semplice assemblaggio di ingredienti dunque, o magari un buon tagliere ma cibo come dimensione culturale da riscoprire, per apprezzare il piacere della tradizione e per ridefinire sapori e saperi, perché riscoprire le specificità locali vuol dire rafforzare l’identità di una comunità.
D’altra parte il termine CULTURA deriva da COLTURUS, che indica un valore finale, qualcosa che va coltivato affinché germogli e dia i suoi frutti. Ed il cibo, per ciascun territorio, è proprio questo, coltivare nel tempo la propria storia enogastronomica, riscoprire memorie, recuperare le tradizioni di quel luogo.
Ed infatti, recuperare sapori antichi è il modo migliore per tramandare cultura alimentare.
