La cura con cui si prepara la tavola, la composizione delle vivande e dei piatti, così come la cura nel cucinare i propri piatti preferiti sono tutti rituali quotidiani, momenti preziosi, che quasi inconsapevolmente compiamo.
Gli antichi romani dicevano “Ab ovo usque a mala” (dall’uovo alla frutta) ed ancora oggi le uova sono spesso presenti negli antipasti, ma perché, vien da chiederci, ancora la frutta si serve alla fine dei pasti? Perché il pesce è ancora visto come simbolo di penitenza? Perché si mangiano le uova a Pasqua e lenticchie a Capodanno? Come mai il baccalà, da cibo povero, oggi è presente sulle tavole dei momenti di festa?
La tavola è ricca di simboli e riti, è espressione di una cultura. Non si tratta della ripetizione meccanica di gesti, ma dell’evocazione di valori e stili di vita.
La cottura e la presentazione dei cibi fanno parte di un condizionamento culturale che influisce sul gusto, sul disgusto, sulle scelte alimentari, fino a trasformarsi in un linguaggio in gran parte inconscio e, proprio per questo, d’estrema importanza.
La cucina, che è nata insieme al linguaggio, padroneggia vocaboli (i prodotti e gli ingredienti), segue le regole grammaticali (ricette) di una sintassi (menù), fino alla retorica dei riti conviviali.
Il linguaggio delle diverse cucine, insieme ai loro riti e segni, trasmette valori simbolici, diventando deposito di tradizioni e d’identità individuale, familiare, di gruppo e sociale.
È proprio con il linguaggio del cibo che si determinano sistemi culinari, ognuno dei quali ha una struttura caratterizzata dai metodi di trattamento dei cibi, dai prodotti di base disponibili, dalla forma in cui sono presentati e nella quale intervengono la qualità degli alimenti, ma anche le capacità artistiche di chi cucina.
Inoltre, secondo un recente studio dell’Università del Minnesota, i piccoli rituali che, compiuti prima di bere o mangiare, influenzano la nostra percezione degli alimenti, rendendo più allettanti anche i cibi meno appetibili.
